STORIE VERE

un nostro affezionato visitatore – Paolo -  ha proposto questo nuovo forum.
e lancia immediatamente una sua storia.

Buona narrazione a tutti

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Storie Vere
RIVISITANDO WRIGHT QUARANT'ANNI DOPO di ENRICO BERTE'
COSE VERE di PAOLO

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"Storie Vere "

09 Marzo 2008 15:29 Nome: battista.i 
ridiamo la città ai pedoni e alle bici
abbiamo il centro cittadino con i bar
senza tavolini fuori,
però,che fortuna ci sono tante macchineche ci sfiorano i piedi


27 Luglio 2007 20:49 Nome: nessuno
LA LEGGE NON E' UGUALE PER TUTTI
Oggi al telegiornale vedo che una coppia di GAY che si baciavano in pieno giorno in centro a Roma fermati e denunciati dalle forze dell'ordine sono stati scagionati Sentenza della cassazzione L'OMOSESSUALITA VA RICONOSCIUTA COME CONDIZIONE DEGNA DI TUTELA E I GAY DEVONO VIVERE SERENI.
Ora vi racconto quello che è successo a me ed alla signora M qualche anno fa.
Una sera ci siamo appartati in macchina in una strada di boschi alle porte del paese, essendo pieno inverno premetto ci stavamo solo baciando, quando una volante con degli agenti ha bussatto sul vetro della mia auto, e per farla breve gli agenti hanno redatto un verbale ATTI OSCENI IN LUOGO PUBBLICO le nostre proteste fatte sul nostro comportamento che non c'era alcun dolo in quanto eravamo al buio e ben appartati non è valso a nulla nemmeno ai giudici della cassazione in quanto "Priva di ogni giuridico rilievo" e non giova far riferimento al buio e al luogo deserto, a meno che non SI OSCURINO I VETRI. Sentenza primo grado 90 giorni DI RECLUSIONE e riconfermata dalla Corte d'appello.
QUESTA E' LA LEGGE DI QUESTO BRAVO GOVERNO PRODI SPIEGATE VOI AI VOSTRI FIGLI QUANDO PER LE STRADE VEDONO DUE UOMINI CHE SI BACIANO
CONCLUSIONE TUTELIAMO I GAY E NON LE COPPIE TRA UOMO E DONNA

30 Luglio 2007 23:46 Nome: marco
Il governo emana le leggi, poi sta al buon senso dei giudici applicare le condanne. Oggi si trovano parecchi casi di "giustizia - ingiustizia". Uno stesso reato può essere giudicato con modalità diverse secondo il peso che il giudice vuol dare. I poliziotti avranno fatto il loro dovere, ma se proprio volevano verbalizzare le persone che operano veramente in atti osceni,anche in pieno giorno, basta che vadano un pò in giro per certe zone molto conosciute che di "lucciole" ne trovano parecchie e per giunta inquinano anche i luoghi delle loro prestazioni


06 Agosto 2007 18:36 Nome: nessuno
Non capisco cosa c'entrano le prostitute nella storia che è mi è successo, forse lei non ha ben capito il senso che io e la donna che stava con me siamo stati condannati ed eravamo molto appartati,i due gay in pieno giorno ed in centro non sono stati condannati e le dobbiamo chiedere scusa. E' vero che sono i giudici che devono applicare le leggi, ma sta al buon senso del governicchio di Prodi emanare leggi degne di uno stato. Riprendendo a quanto lei afferma sulle prostitute non sono loro colpevoli, ma i loro sfruttattori che andrebbero colpiti da leggi ferree, ma a questo il governo prodi non ci pensa minimamente perchè sono loro stessi i clienti di queste povere ragazze sfruttate. Ma se la maggior parte degli italiani ha votato gente come Caruso e poi ci parlano di pace, gente come la sig.ra Luxsuria e vengono a parlare di famiglia, .......
e condanno un uomo e una donna, siamo messi male, se lei la pensa come loro mi scusi ma non voglio nemmeno il dialogo grazie


14 Agosto 2007 20:24 Nome: R. B.
qualche anno fa' c'era il governo Berlusconi se non sbaglio


09 Marzo 2008 15:34 Nome: b.i
forse + che l'atto hanno condannato il tuo qualunquismo

 

dal Forum STORIE VERE 23 Luglio 2007 11:25 Nome: Paolo
COSE VERE
1° PARTE


Guardando la trasmissione televisiva: “La Storia Siamo Noi” che documenta gli avvenimenti importanti e la biografia di uomini illustri, così mi è venuta l’idea di scrivere la storia di un uomo non famoso.
Camminando camminando, passo dopo passo, sono arrivato all’età di sessant’anni e con tre nipoti. Guardando indietro, tra le nubi del passato, mi sono affiorati i ricordi delle mie imprese:
Quando si è giovani si ha molto coraggio e spinto da vari fattori decisi di farmi una famiglia dove solo io potessi comandare. Diedi l’ultimatum alla mia attuale moglie e nel giro di pochi mesi, alla data stabilita, la mattina il prete ci sposò e alla sera migrammo da Napoli per Milano. Era la prima volta che affrontavo con mia moglie un viaggio così lungo. Nel treno era taciturna, appiccicata alla mia spalla e con gli occhi lucidi guardava verso il finestrino le mani degli amici che ci salutavano. Tirò un sospiro di sollievo quando il treno incominciò a muoversi, guardandoci negli occhi, ammiccammo ad un breve sorriso di soddisfazione. Non posso affermare adesso se il viaggio ci sembrò lungo o corto, ma quel che mi ricordò e che parlammo poco, ogni tanto davamo uno sguardo agli altri passeggeri sonnolenti, ai bagagli, fuori al finestrino ormai buio e alla nostra immagine riflessa sul vetro. Ci sentivamo Noi, io e lei. Alla mattina presto, una leggera melodia ci tolse dal terpore della notte, un pendolare anche lui napoletano divideva lo scompartimento con noi canticchiava “o mia bela madunina” (col passar del tempo seppi che questa canzone ha origini napoletane) Mi venne in mente il film “Miracolo a Milano” forse l’avevo associata a quella scenografia. In stazione dovevamo trovare Aldo, nostro cognato, che era il nostro appoggio logistico, perché gia abitava da alcuni anni con la sorella di mia moglie Pina, in zona Rogoredo, periferia sud-est di Milano dove ci avevano trovato un’abitazione poco distante dalla loro . Dal treno scese anche l’ultimo passeggero, ma noi eravamo ancora fermi sulla pensilina con le nostre valige ad aspettare la nostra guida. Dopo una mezzora, non vedendo nessuno, telefonammo alla Pina, sul posto di lavoro, per sapere notizie e cosa fare, apprendemmo che Aldo non era potuto venire perchè era ad un importante colloquio di lavoro e che noi avremmo dovuto raggiungerlo. In stazione c’era ancora fresco ma quando uscimmo fuori ci accorgemmo che alla fine di ottobre a Milano faceva caldo, le persone vestivano con pantaloni estivi e camicie a mezze maniche. Noi non eravamo preparati a questo! a Napoli non c’era più quell’aria estiva e presupponendo che saremmo sbarcati al nord a circa 800 Km. dalla stazione di partenza,ebbene, eravamo vestiti con indumenti invernali, vi ricordate il film in cui Totò e Peppino arrivarono alla stazione di Milano? A noi mancavano pochi elementi per assomigliare a quei due. Ci sentivamo in disagio,forse provavamo quasi vergogna, con il biglietto in mano con su scritto l’indirizzo di via Commenda, questo nome ci sembrava strano perché eravamo abituati a sentire nomi come: via Catello Fusco o come Caperrina, Licerta, Bovio, salita Scanzano ed altro, mi venne il dubbio che avessi capito male per telefono. Lasciati i bagagli al deposito è chiesto le informazioni arrivammo a destinazione con il filobus dell’ATM. Altra attesa, quando fantomas arrivò tirammo un sospiro di sollievo, ci salutammo benevolmente, ma….non era finito lì. Ci spiegò che era una cosa importante e non poteva accompagnarci, ci diede le chiavi di casa spiegandoci la strada e i mezzi da prendere.
Alla faccia del nostro appoggio logistico!
Alcune settimane dopo seppi che il famigerato posto di lavoro a cui sospirava mio cognato, non era altro che da cuoco, poi non era proprio così, diciamo piuttosto che era più un pela patate, durò poco. Seguendo le istruzioni arrivammo finalmente sul luogo della nostra abitazione, il caseggiato era di inizio secolo XX, diciamo di uno stile Liberty ma molto povero, il portone era enorme e di legno con una porticina piccola ricavata dentro un’ anta che per passarci si doveva abbassare la testa, per fortuna la si utilizzava solo di sera quando veniva chiuso l’ingresso principale. Varcata la soglia e fatti pochi passi nell’antrone, sulla sinistra si trovava una porticina e dietro alla vetrata c’era una donna anziana intenta alla lavorazione di un grosso scialle di lana. Era la sciura Ottavia, portinaia che appena ci vide con un sorriso che solo le donne di una certa bontà sanno dare, ci venne incontro. Quel sorriso ci rallegrò e per un attimo ci fece dimenticare lo sconforto e la stanchezza che ci aveva presi. Da noi la portineria c’è solo in pochi palazzi di un certo decoro e vedendola in quel contesto pensammo che doveva essere una bella abitazione. Attraversato l’androne ed uscito nel cortile, alzammo gli occhi, li abbassammo e poi ci guardammo; forse cercavamo una spiegazione o un conforto. Il casermone era di quattro piani, con delle lunghe ringhiere e tante porticine alternate con finestre che guardavano sul cortile. Dovevamo salire quattro piani, immaginate a tenere ai piedi per più di trentasei ore un paio di scarpe nuove di puro cuoio, fatte da un artigiano e che facevano fatica a piegarsi. Da allora ho preso l’abitudine che ad ogni paio di scarpe nuove che calzo, le faccio fare prima un rodaggio camminando per la casa.
A questo punto vorrei fare una pausa per non rendere lungo e noioso questo racconto e scrivere in un secondo momento il continuo che riserva ancora delle situazione buffe. Per questo colgo l’occasione ad invitare altri lettori ad inviare qualche episodio che sta a cuore per far partecipare altri alle emozioni vissute.
Saluto tutti, Paolo

dal Forum STORIE VERE 7 Agosto 2007 10:15 Nome: Paolo
COSE VERE
2° PARTE


 
Incominciammo la scalata. Ad ogni piano raggiunto guardavamo curiosi quella nuova architettura che si apriva ai nostri occhi. La scala terminava con una specie di ballatoio dove da un archetto si accedeva alla "passeggiata della ringhiera"; questo termine l’ho coniato in seguito perché tutti quelli del piano, per uscire o andare in bagno, dovevano passare davanti alla mia finestra. Infatti, quando feci amicizia con i vicini, questi, ogni volta che passavano, salutavano sempre. Salivamo le scale uno dietro l’altro, i gradini erano larghi e alti, ci aiutavamo con le mani facendoci leva sul corrimano della scala e ad ogni piano il sopraffiato aumentava. Le ringhiere erano tutte identiche, fatte di ferro battuto con qualche fregio stile Liberty. Arrivati al capolinea (quarto piano) e fatti pochi passi c’era la nostra abitazione; la prima delle cinque porte. Che emozione nel vedere affisso su un’anta della porta dell’ingresso un biglietto di carta con i nostri cognomi!
Il foglietto si alzava e si abbassava pian piano
mosso da una leggera brezza di vento. Fu allora che prendemmo coscienza d'essere ormai una famiglia. La porta era composta di due ante non larghe e per passarci agevolmente bisognava aprirle entrambe. Entrammo senza tanti convenevoli, non ci fù la fatidica scena da film americani in cui lo sposo prende in braccio la moglie, non avevamo tempo da perdere, il nostro obiettivo era di trovare un bagno perchè l’avevamo tenuta in serbo da parecchio tempo. Entrammo nella prima camera, nella seconda e..."basta, era tutto lì". Ritornammo nell’ingresso, forse non avevamo visto bene… non ci sbagliavamo: “o cess nun c’stà”. Infatti il cesso non c’era! Guardandoci con un grosso punto interrogativo stampato sul nostro volto, mia moglie disse ingenuamente: “màje cchiù ùno saglia ncòpp o lavandin’” (mai più ci si può arrampicare sul lavandino), “e c’hè schìfèzza è chèst” (e che schifo è questo)? Non sapendo cosa rispondere mi avvicinai alla finestra , la aprii per osservare meglio e, di fronte a noi, distante una cinquantina di metri c’era un palazzo nuovo. Non ricordo cosa mi passava per la testa tanto era la confusione che mi rendeva poco chiara quella situazione incresciosa. Sentivo la moglie che borbottava come se stesse recitando un rosario, quando… ecco il miracolo! Si sentì un rumore familiare: lo sciacquone. Mi affacciai di più e vidi una porta che si apriva da un’ala del fabbricato fatto a forma di “L”. Una signora uscì tenendo per mano un fanciullo di circa quattro anni mentre con l’altra reggeva un vaso da notte . Passando davanti alla mia finestra accennò ad un leggero sorriso. Il figlioletto si strofinava un occhio col pugno e mi guardava incuriosito. Eravamo salvi!
Mia moglie fu la prima a collaudare il bagno, infatti, quando uscì aveva le scarpe bagnate e mi disse: “fa attenziòn quanno tir a catén, fuì sùbbeto ché vène n’à cascat” (fai attenzione a quando tiri la catena, scappa subito perché viene giù una cascata). Fui contento perché aveva ripreso a parlare nella nostra lingua napoletana, non lo l’aveva fatto da quando eravamo saliti sul treno.
L’abitazione era composta di due camere, la prima fungeva anche da ingresso- soggiorno e cucina, era piccola, la seconda, "la camera", era enorme per l’uso che attualmente doveva fare - evidentemente costruita sulle esigenze della classe sociale di quell’epoca: cucina piccola perché si mangiava poco e camera da letto grande per il numero dei figli che un genitore doveva dare alla patria. Ritornando all’arredamento della camera da letto: c’era un armadio piccolino lasciato dai vecchi inquilini .... Però, dovevano esserci gia le reti e i materassi nuovi perché molto tempo prima di sposarmi, avevo spedito a mio cognato i soldi per una serie di cose che sarebbero occorse subito come: allacciamento del gas -che era avvenuto-, della rete elettrica -che guarda caso l’avevano fatto la mattina del nostro arrivo- (Caso strano! come mai era successo in ritardo?), i due bauli con il corredo completo -non erano ancora arrivati-....eppure, ero stato molto prudente ad effettuare la spedizione quaranta giorni prima e le indicazioni della casa di spedizioni assicuravano la consegna non oltre le tre settimane. La cucina a gas, un tavolo ed alcune sedie le avevano lasciate quelli di prima e si abbinavano bene a quell’ambiente. Verso le undici arrivò Aldo carico d’entusiasmo. Si scusò per l’inconveniente e ci raccontò che il colloquio era andato bene e che avrebbe incominciato subito. Chissà quali cose importanti gli avevano chiesto! Ci congratulammo e gli domandai subito del letto, senza puntualizzare sulla condizione dell'abitazione (commento personale: "se ad una coppia di freschi sposi non gli si dà un letto, cosa si fa, si ritorna in cinquecento?")
Per il letto andammo subito a comprarlo, volevo lasciare mia moglie in casa per non farla stancare ancora, ma lei volle seguirmi. Scendendo le scale, Aldo mi chiese se avevo tutto con me; gli risposi di sì ma non capivo il senso di quella domanda. Ci facemmo quasi mezzo chilometro a piedi e con passo veloce perché si avvicinava l’orario della chiusura e qui, al contrario dei negozianti del nostro paese, erano molto puntuali ( “almeno in qualcosa li battiamo”). Nel negozio ordinammo quello che ci serviva ed all’atto di pagare io aspettavo che lui mettesse le mani in tasca per pagare con i miei soldi. Le mani rimasero in tasca ma io, proprio io pagai per la seconda volta. Ritornando a casa comprammo in un altro negozio un secchio con gli stracci, un bastone, una scopa... insomma, tutto l’occorrente per la pulizia della casa. Ognuno di noi portava in mano qualcosa. Eravamo un bel trio. Mai vista una squadra di pulizie vestita in un modo così elegante! Risalimmo i quattro piani per poi ridiscenderli di nuovo e salire altri tre piani di un altro palazzo dove abitava questo bel pezzo di mio cognato. La sua abitazione era simile alla mia, solo più grande e ci disse, con un tono autorevole: "bene adesso mangiamo qualcosa"...... infatti, l’ora lo richiedeva.

Mise la pentola sul fuoco e apparecchiata la tavola ci mettemmo a parlare un po’ della cerimonia, del rinfresco fatto nell’oratorio, dei parenti e amici che erano intervenuti ma, non osavo chiedere del perché non aveva comprato le reti e i materassi né del ritardo nel fare il contratto dell’energia elettrica. A tavola mangiammo penne al burro, per secondo mise sulla tavola un grosso barattolo di vetro di sottaceti, quelli che si vendono nei mercatini e a quell’epoca non avevano l’etichetta. Per fortuna avevamo portato con noi il borsone dove, insieme a delle cose personali e alcuni oggetti preziosi, c’erano rimasti dei panini che avrebbero dovuto sfamarci durante il viaggio e che non avevamo consumato per l’emozione; c’erano anche altre cibarie caratteristiche del nostro paese, conservate proprio per tenerci con noi i sapori ed il ricordo della nostra terra. Da quel momento incominciò un periodo di beneficenza. -Voglio rompere l’ordine cronologico dei fatti per raccontare, adesso, quello che erano i rapporti economici con mio cognato. I soldi della fatidica rete e materassi li ebbi in seguito ma sempre a singhiozzo, nonostante tutto lui mi chiedesse verso il 20 d’ogni mese quindicimila lire per poi restituirle all’inizio del mese successivo. Questa situazione, immancabilmente, avveniva ogni mese e durò per un po’ di tempo; lui veniva da me, chiedeva, io andavo al solito posto che ormai era ben conosciuto, prendevo e davo. All’inizio del mese, lui veniva, restituiva ed io rimettevo il denaro al solito posto, non prendevo neanche la briga di metterlo da un’altra parte o di spenderlo, tanto me lo avrebbe richiesto di nuovo. Ero diventato una specie di bancomat infatti, se lui depositava davo, se non lo faceva, il bancomat rimaneva vuoto.- Finito il lauto pranzo ritornai con mia moglie nella nostra abitazione. Le reti e il materasso arrivarono puntualmente, mancavano ancora i due bauli con dentro lenzuola, cuscini, federe, coperte e tante altre cose, compreso l’utensileria da cucina. Ci sentimmo di nuovo preoccupati, cos’altro ci doveva capitare? Ci dovevamo adattare a dormire vestiti? Il miracolo a Milano avvenne. Sentii chiamare dal cortile, erano i facchini con i miei due bauli, mi fecero segno di scendere, chiesi il perché - dovevo firmare - ripetei: "salite vo"; insomma tra un invito a salire e uno a scendere, mi scocciai e gli dissi che se non avessero portato su i bauli avrei chiamato la polizia. Così con la lingua fuori si fecero due viaggi, dal piano terra al quarto piano. Non immaginate con quale gioia tirammo fuori le nostre cose da quei forzieri. Quello che occorreva subito lo poggiammo sulle sedie e sul tavolo perché avevamo come mobile soltanto quell’armadietto. Lì, dopo aver fatto una buona disinfettata, ci mettemmo i nostri abiti adatti al clima del momento e parte della biancheria, rimettendo tutto il superfluo nel baule bello (quello rivestito in legno che ci serviva anche per sedersi quando le poche sedie non bastavano); l’altro, lo portammo nella camera da letto. Mia moglie, che ha buon gusto, gli mise sopra una bella tovaglia e con questa nuova veste sembrava un mobile di uno stile particolare poi, diede subito una nuova veste al letto addobbandolo con lenzuola ricamate e federe dello stesso genere. Arredò quella stanza con ciò che la fantasia femminile potè dettare. Aveva inventato l’arte povera. Quella composizione si addiceva bene al contesto: una stanza enorme, un armadio piccolino, due reti, due materassi una sedia e niente altro. Mia moglie si rivolse a me, con l’aria quasi stanca ma ancora carica d’energia, chiedendomi di andare a comprare qualcosa per la cena perché, quello che era avanzato del pasto di mezzogiorno, non avevamo avuto il coraggio di portarcelo appresso. Le chiesi se preferiva qualcosa di particolare erispose: “Prendi quello che vuoi”. Lo disse con una serenità tale che poteva essere paragonata soltanto a qualche personaggio del vangelo. Scesi giù e proprio di lato al portone, scorsi una salumeria che fungeva anche da bar. Insieme a vari cibi fui attratto da una bottiglia di una forma molto panciuta; l’etichetta portava su una scritta: Conte di Cavour Riserva speciale spumante Brut. Dissi tra mè e mè “questa e da prendere”. La signora dietro al bancone che mi sentì parlare sottovoce o capì dal mio sguardo, disse: “ se vuole ce l’ho in frigo, già pronta da bere". Accettai quell’invito e le chiesi quanto dovevo pagare l’intera spesa. Fece un breve calcolo nella sua lingua e pronunciò una frase che sembrava più uno scioglilingua. Captai soltanto l’ultima parola: “franc”. Trattandosi che dovevo pagare, pensai subito che quel franc doveva significare franchi e scusandomi le risposi ingenuamente, che avevo soltanto le lire. Quello fù il primo scontro con la lingua milanese.

Le ferie sono arrivate, vado anch’io in vacanza al mare e ci risentiremo a fine agosto. Colgo l’occasione di invitarvi a raccontare le vostre storie, mi rivolgo, in particolar modo, a quei lettori che hanno in famiglia o che conoscono delle persone anziane, a farvi narrare qualcosa della loro vita: in che modo hanno conosciuto la persona che ha lasciato una grande impronta nel loro cuore, come si presentò e come fù accolto in famiglia quando chiese la mano dell’amata, in che modo si svolse la cerimonia del matrimonio , quali erano i regali e se venivano esposti, farsi descrivere il viaggio di nozze, insomma tutto ciò che possa farci partecipare alle loro emozioni. Una volta mia madre o una zia mi raccontò che quando partì per il viaggio di nozze in carrozzella, perché la destinazione non era lontano, dovettero rientrare subito di corsa perché nella città di destinazione incominciò un’intenso bombardamento degli alleati e si vedevano in cielo tanti aerei che avanzavano.  Saluti Paolo

Settembre 2007 : Paolo
COSE VERE
3 ° PARTE

Sono pronto a scrivere quest’ultima parte della mia storia.
In questo periodo di vacanze ho messo insieme altri ricordi che hanno lasciato un allegro pensiero nella storia di famiglia.


Il giorno seguente, di buon’ora, andai dal giornalaio, comprai il Corriere e una cartina stradale di Milano. Tornato a casa, incomincia subito la consultazione delle offerte di lavoro e...  ce n’erano tante!
Dopo aver sorseggiato il caffè importato da Napoli, abbrustolito a manto di monaco da un’antica torrefazione napoletana, incominciai a scrivere su di un blocco gli appunti utili per il mio primo pellegrinaggio alla ricerca di un impiego.
Grazie anche all’interessamento di mia cognata, mia moglie avrebbe dovuto incominciare a lavorare tra una settimana come ausiliaria in una clinica. La cosa era nota da tempo, tanto che  fu un motivo rilevante nella decisione di sposarci. Con tutto ciò, lei mi chiese di cercare qualcosa per non stare in ozio nel frattempo. Le passai il giornale mentre io incominciai a scrivere, in  più copie, il curriculum da lasciare ai richiedenti di manodopera. Completato il nostro piano di ricerca, piantina di Milano in mano, uscimmo.
Per le scale incontrammo la portiera impegnata nelle pulizie che se la prendeva con chi sputava sempre per terra.  La salutai e le suggerii di dire a quel tizio che avrebbe fatto meglio a farlo in cielo invece che in terra. Lei rimase per un attimo pensosa poi, con un sorriso annuì, facendomi capire che aveva intuito il significato: “chi sputa in cielo, in faccia gli ritorna” .....  vecchio proverbio conosciuto da molti.
Varcammo il portone carichi di buoni propositi e ci dirigemmo verso la stazione ferroviaria sicuri di trovare un telefono a gettoni.
Dopo alcune telefonate ricevemmo una risposta adeguata per un lavoro di marketing. Ci consigliarono di presentarci entro la giornata.
Cartina in mano, dalla posizione in cui ci trovavamo, potevamo scegliere di andare verso il centro, utilizzando due filobus: l’84 e il 95.
Ad un autista che stava facendo la pausa chiedemmo informazioni per la nostra destinazione. Vedendoci con la cartina in mano, ci chiese se eravamo nuovi- ( bah, forse non si vedeva!). Gli comunicammo la nostra provenienza e allora lui esclamò: “siete terroni come me!”.
Il suo accento non somigliava per niente a quello napoletano, era cadenzato in modo diverso, e fu allora che gli chiesi di dov’era e lui rispose che era “un terrone del nord”, cioè del Veneto. Mi spiegò la differenza di come i milanesi distinguevano i due ceppi migratori.... Eravamo diventati stormi di uccelli!
Al momento della partenza  ci rassicurò dicendoci che ci avrebbe avvertito della fermata e dell’altro mezzo che avremmo dovuto prendere. Ci sedemmo sui sediolini vicino a lui per non perderlo di vista. Durante il percorso guardavo fuori e vedevo come cambiava l’architettura dei palazzi. In periferia c’erano le costruzioni economiche, fatta eccezione per alcuni grossi e recenti condomini e, via via,  avvicinandosi al centro, si notavano quelle di stile fascista, alcune molto ben rifinite ed altre di stile Liberty. In prossimità di un incrocio, l’autista ci avvertì che dovevamo scendere per prendere il tram numero 23 proveniente da sud. Che bel numero, pensai, è tutto un programma! 
Nella cabala, infatti, con questo numero si indica “lo scemo”. 
Scendendo lo ringraziammo e, a quell’incrocio, sempre con la cartina in mano non capimmo più dov’era il nord, il sud e tutto il resto dei punti cardinali!
La strada dalla quale provenivamo s’incrociava con una molto larga dove, in mezzo alle corsie destinate agli automezzi, c’era un’altra più larga e alberata con una coppia di binari per ogni senso di marcia.
Ci trasferimmo nella corsia centrale, quella riservata ai tram e prendemmo subito il primo che era lì fermo. Una volta sopra chiedemmo informazioni al bigliettaio. Era proprio il 23, ma quello sbagliato!
Scendemmo alla prima fermata, chiedemmo altri ragguagli per arrivare a destinazione.
Questa, era ancora distante e a quel punto, ci venne in aiuto la cartina.
Devo dire che a Milano si viaggia bene perché a ogni lato d’incrocio, sia piccolo che grande, si trovano i nomi delle strade incisi nel marmo.
Raggiungemmo l’ufficio cercato e fummo accolti con tanta gentilezza. Al momento rimasi molto colpito; stupito di fronte a tante belle maniere. 
Ci spiegarono cosa fare, i prodotti che avremmo dovuto vendere e le zone dove si operava ma di soldi non ne parlarono per niente. Quando accennai al compenso, la segretaria, sempre gentile, mi rispose che le cose non erano come avevo intuito, bensì avrei dovuto prima acquistare  i prodotti e poi rivenderli. Considerando il prezzo di quei prodotti e la loro qualità, mi convinsi che avrei dovuto sborsare più del doppio del loro valore. Non riuscii a controllare il mio nervosismo. Incominciai a inveire contro quella segretaria che impallidì e indietreggiò, quando vide volare in aria la sua merce. Mentre mia moglie mi tratteneva per un braccio, entrò nella saletta il responsabile che volle imporre la sua autorità. Iniziò un’altra discussione, non certo amichevole. Spiegai tutto quello che avevo fatto quella mattina per arrivare da loro, la consapevolezza di trovarmi di fronte ad una truffa e, minacciandoli di denuncia, ottenni almeno un risarcimento per il disturbo.
Da quella volta diventai più accorto nella ricerca del lavoro perché avevo capito  che i truffatori  possono mascherarsi facilmente con le belle maniere.
Ogni giorno ripetevo il mio giro di visite e colloqui. Avevo fatto amicizia con l’autista e incominciavo a conoscere la città e i modi di fare della gente.
.....Il lavoro tardava ad arrivare, evidentemente c’era qualcosa che non andava nei miei colloqui e nel mio curriculum! 
Ancora una volta mia moglie fu di aiuto. Mi consigliò di togliere dal curriculum il riferimento ad una raccomandazione di un ispettore del lavoro amico di un mio cugino e l’indicazione dell’ultima classe frequentata.
Con questa trovata, presto,  non feci più parte della schiera dei disoccupati.

Era il primo novembre e, rispettando l’usanza, ci recammo al cimitero. Andammo a piedi in zona Chiaravalle. Fu una bella camminata! Visitammo l’Abbazia Cistercense assistendo dopo tanto tempo alla messa cantata dai monaci, con rito diverso a quello a cui eravamo abituati; di seguito entrammo nel cimitero. C'erano ordine e pulizia mai visti prima. I sentieri erano coperti dal ghiaietto e calpestandolo, sembrava di sentire un lamento. Ognuno addobbava la lapide senza sfarzo e senza curarsi del proprio vicino.
C’era tanta pace e mi venne in mente una poesia napoletana “Campusantiello” (piccolo camposanto) che descrive un piccolo cimitero posto sulle colline tra Cetara e Maiori, in zona molto caratteristica della costa amalfitana e, di fronte a tanta bellezza, (la vista del mare ed il cullare delle onde),  il poeta narra il piacere di stare lì, defunti, mentre la vita fuori é più amara.
Di lì a poco tornammo a casa.
Giunti a destinazione, prima di salire le scale ci dirigemmo al telefono pubblico per comunicare con i nostri genitori, per sentirci ancora parte dei nostri luoghi.
In quel periodo di novembre, a Milano,  le giornate erano molto belle. Dalla ringhiera e dalla finestra di casa nostra,  la vista spaziava per un lungo raggio. Da una parte si vedeva la tangenziale Est e il paese di S. Donato con le torri illuminate dell’Eni e dall’altra, la campagna di Chiaravalle con il caratteristico campanile.
In Casa, quando non avevamo niente da dirci, quel panorama ci aiutava a sognare; era la nostra fonte di distrazione.
Dopo qualche settimana incominciai a lavorare ai grandi magazzini. Dovevo controllare e rifornire i banchi della merce.
Nel periodo delle feste natalizie fui incaricato alla confezione dei pacchi. Posso affermare di non aver mai fatto un pacco a regola d’arte, non era il mio lavoro.....! Nelle giornate di “piena” il mio bancone era il più affollato di tutti e persone “soggiornavano” in attesa della loro confezione ma alla fine, nessuno usciva soddisfatto.
Un giorno, una cassiera, terminato il suo turno, impietosita dai miei inutili sforzi, venne ad aiutarmi. Non aveva mai visto una scena così tragi-comica.... Scommetto che il fatidico Jerry Lewis non avrebbe saputo superarmi!
Una mattina il direttore comunicò che le mie mansioni sarebbero cambiate. Pensai subito che mi avrebbe destinato alle pulizie invece  mi assegnò al magazzino ad aiutare il responsabile e, all’occorrenza, scaricare la merce dagli automezzi.
Quel tipo di lavoro non mi piaceva, mi portava via troppo tempo  (tra un turno e l’altro rimanevo tre ore in libertà e la sera terminavo alle otto). Per questa ragione continuavo la ricerca di una nuova occupazione.
A metà gennaio cambiai lavoro.
Fui assunto in una fabbrichetta di una trentina di dipendenti di cui: cinque uomini e il resto tutte donne dove si confezionavano preparati per dolci: budini, crem - caramel, torte di vario tipo e si tostava anche il caffè.
Ero il più giovane mi sentii subito a mio agio...  come diceva Totò: “io in mezzo alle donne mi trovo bene”.
A fine lavoro, quando tornavo a casa, portavo sempre addosso il profumo del prodotto confezionato nella giornata e, prendendo i mezzi pubblici, mi accorgevo che gli altri passeggeri annusavano come  i segugi, l’aroma che emanavo. In piedi, attaccato al corrimano del filobus, fungevo da “profumambiente”.
Le giornate si accorciavano sempre di più, incominciavo a conoscere la nebbia che si presentava prima molto leggera e dava l’impressione di guardare attraverso un velo chiaro.
Mia moglie faceva i turni e quando era impegnata di pomeriggio e terminava dopo le  dieci di sera, io andavo a prenderla percorrendo a piedi i tre km della via diritta che portava verso il centro. Risparmiavo così i soldi del un biglietto che utilizzavo solo nel ritorno con lei e per di più, mi distraevo.
Una sera, scendendo le scale, ebbi subito la sensazione di un’aria più umida.
C’era nebbia più fitta  del solito. Strada facendo e avvicinandomi al centro, la nebbia diminuiva d’intensità e, dalla strada deserta  illuminata dai lampioni, scorgevo il faro di qualche tram e la luce della solita pizzeria il cui forno spargeva nell’aria il profumo delle pietanze. Nel percorso di ritorno con mia moglie, dal filobus, vedevo la nebbia sempre più fitta;  davanti ai vetri c’era “un muro di latte”!
L’autista procedeva piano, sembrava il solo a vedere la strada tanto era la sua sicurezza nel condurre l’automezzo.
Arrivati a destinazione quasi senza accorgercene, scendemmo dal filobus. Nella strada deserta vedemmo le luci dei lampioni che illuminavano cose indefinibili. Avemmo la sensazione d’essere in una scena di film dell’orrore, mia moglie si strinse a me e fu allora che ci accorgemmo che i nostri indumenti erano completamente bagnati.
Camminammo con cautela ma sembrava che le nostre gambe ci spingessero ad andare più veloci. Il percorso lo conoscevamo a memoria tuttavia, girammo a destra, girammo a sinistra, andammo di qua e di là passando davanti al nostro portone senza distinguerlo e ci trovammo molto più avanti.
Tornammo indietro, controllammo con più attenzione le insegne dei negozi fino a intravedere la salumeria sotto la nostra abitazione. Quegli attimi di smarrimento erano finalmente terminati! Quello era l’inverno milanese!
Incominciava a fare freddo in casa e gli inquilini che abitavano ai piani inferiori, senza saperlo, provvedevano a riscaldarci. Le canne fumarie delle loro stufe attraversavano la nostra parete riscaldandola.  In seguito però,  dovemmo anche noi munirci di riscaldamento ma in compenso, risparmiammo sul frigorifero perché utilizzavamo quello naturale: il davanzale della finestra della camera che guardava verso la campagna.
Quell’anno incontrammo tutti gli eventi atmosferici invernali che la natura poteva procurare. Prima il freddo eccessivo  e poi la neve abbondante con  conseguenti scivolate sulla strada  e  disagi per quel clima  sofferto non solo da noi, abituati a ben altro, ma anche dagli stessi Milanesi.
Ricordo che una mattina non riuscimmo a prendere il contenitore del latte posto fuori dalla finestra, perché s’era formata una coltre di ghiaccio tra le fessure, saldando le imposte. Eravamo rimasti anche senza acqua perché si era ghiacciata dentro le tubature.
Capimmo poi che, bisognava lasciare gocciolare il rubinetto, per evitare l’inconveniente.

Il lavoro andava bene, profumavo sempre di qualche aroma diverso e quando rientravo in casa mia moglie, avvicinandosi per salutare, indovinava sempre il tipo di prodotto confezionato.
Una sera, verso fine mese, lei mi venne incontro sorridendo, mi abbracciò forte ed io sentii la sua felicità: “aveva portato a casa il suo primo stipendio”.
Sul tavolo c’era la busta aperta con una decina di fogli da diecimila lire. Mi sedetti senza togliermi l’impermeabile e le mostrai il mio stipendio, inferiore al suo.... Purtroppo quel mese avevo lavorato pochi giorni. Lei, accortasi della delusione  m’incoraggiò e mi consolò dicendomi che la busta paga del prossimo mese sarebbe stata più consistente della sua dato che avrei lavorato tutti i giorni. Da perfetta donna di casa, come era abituata ad essere, mise insieme i soldi dicendo che da quelli avremmo costruito le basi per una casa grande e tutta nostra.
Andò in camera da letto e dopo poco ritornò con in mano una scatola delle scarpe.
Dentro c’erano i progetti delle villette che avevo disegnato quando frequentavo ancora la scuola.
Si girò, ritornò sui suoi passi e rientrò con alcuni libri incitandomi a riprendere gli studi.
Rimasi stupefatto; a mia insaputa, aveva messo nella cassa insieme al corredo, i libri che mi aveva visto usare prima del matrimonio.
Quando lei faceva il turno del pomeriggio, ero solo in casa e, per ingannare il tempo, mi mettevo a fare i conti delle entrate è delle uscite, del tempo che ci sarebbe voluto per esaudire i nostri desideri.  Tempo... troppo tempo sarebbe dovuto trascorrere prima di avvicinarci alla nostra meta. Dovevo trovarmi una seconda occupazione.
Chiesi alla portinaia se conosceva qualcuno al quale serviva un aiuto fuori orario di  lavoro e consigliò di rivolgermi all’inquilino del primo piano.
Così feci e incominciai a lavorare col sig. Mario, anche lui occupato con una seconda attività.
Mia moglie, invidiosa, s’impegnò ulteriormente per incrementare le entrate familiari. Dovevamo raggiungere il nostro scopo presto. In quella casa, per via  dell’affitto basso che si pagava, resistemmo dieci anni nei quali ci prodigammo per renderla accogliente  ........
Poi, finalmente, spiccammo il volo!


Saluto e ringrazio tutti quelli che hanno avuto pazienza a leggere questa Storia Vera. Paolo

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